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Pacco 100% Anonimo
L’aereo atterrò e il classico gruppo di cafoni si mise ad applaudire.
Valeria aveva viaggiato accanto a suo fratello dodicenne: appena un’ora e mezzo di volo e già non lo sopportava più.
Il casino degli altri passeggeri la fece innervosire ulteriormente.
«Non vedo l’ora di scendere da questo maledetto aereo.»
«Che palle Vale, ti lamenti sempre!»
La cosa peggiore era che quello non era che il principio: la aspettavano 14 giorni con i genitori e quell’insopportabile di Guido su una sperduta isola greca.
Prima di partire aveva controllato su internet: c’erano a stento un bar e due taverne nel paesino dove avevano fittato casa.
In quel preciso istante, invece, le sue amiche stavano arrivando a Ibiza: loro sì che avrebbero trascorso una vacanza incredibile.
Aveva protestato, dopotutto avrebbe compiuto 19 anni a settembre, era abbastanza grande per partire con le ragazze.
Ma non c’era stato verso: le era toccata la vacanza di famiglia anche quell’anno.
Noleggiarono un’auto e si avviarono verso il porto: c’erano ben due traghetti da prendere prima di arrivare a destinazione. Valeria non disse una parola per tutto il tragitto, si sentiva una nuvola pronta a riversare sugli altri il suo malumore come un temporale.
Arrivati in casa, prese la sua valigia sbuffando e andò a chiudersi nella sua camera: finalmente un po’ di privacy.
Valeria gettò il bagaglio sul letto e si diede un’occhiata intorno: quantomeno i suoi avevano scelto una bella sistemazione, seppure persa in mezzo al nulla.
La sua stanza aveva un balconcino che affacciava sulla baia: qualche casetta bianca sparsa qua e là e, proprio sotto di lei, un pontile con una decina di barchette di pescatori.
«Creperò di noia, ma almeno lo farò in un bel posto.»
Il sole stava per tramontare, su una delle barche alcuni tipi trafficavano con cassette di pesce.
Erano ragazzi giovani, forse avevano la sua età.
«Ehi guys!»
Provò a chiamarli, si mise ad agitare le mani per attirare la loro attenzione. I due scesero dalla barca e si avvicinarono al suo balcone.
Cazzo, mai una gioia! Questi c’hanno un paio d’anni più di Guido!
Tentò di ottenere delle informazioni dai due, ma si accorse subito che non capivano quasi niente di quello che lei chiedeva in inglese.
Il baccano che stava facendo attirò qualcun altro: da una baracca di legno venne fuori un uomo con una massa di capelli riccissimi e neri e un barbone dello stesso colore.
Raggiunse i ragazzini, disse loro qualcosa in greco e i due tornarono correndo alla loro barchetta.
Dopodiché l’uomo salutò Valeria e le diede il benvenuto sull’isola in un inglese perfetto.
Osservandolo meglio si accorse che doveva avere grossomodo l’età di suo padre, ma rispetto a lui era decisamente più in forma, senza pancetta alcolica e stempiatura.
Indossava una canottiera bianca un po’ logora che però metteva in risalto il suo fisico atletico, spalle larghe, il petto muscoloso e peloso.
Ah però il pescatore…!
L’uomo si chiamava Stefanos e la invitò a passare dall’unico bar del paese quella sera, così le avrebbe offerto qualcosa da bere. Poi la salutò e se ne tornò a riparare le sue reti da pesca.
Rientrata in camera, Valeria si sentì improvvisamente meno incazzata: forse la Grecia non faceva poi così schifo.
Quel pescatore le aveva fatto venire un certo appetito: le piacevano gli uomini più grandi, fantasticava spesso sui suoi professori brizzolati.
In valigia aveva infilato il suo succhiaclitoride: accenderlo non sarebbe stata affatto una cattiva idea, e lo avrebbe fatto con estremo piacere se solo sua madre non avesse bussato per farla andare a cena.
«Ok, però dopo esco a fare un giro da sola.»
L’idea del dopocena al bar la stuzzicava: si immaginò Stefanos il pescatore che la aspettava al bancone con qualcosa di fresco già pronto da offrirle. L’avrebbe guardata in modo sexy e lei lo avrebbe provocato succhiando dalla cannuccia in modo volgare.
Ma quando finalmente raggiunse il bar, appoggiati al bancone c’erano solo tre settantenni con la loro bottiglia di vino bianco speziato.
Valeria si sentì estremamente a disagio: forse aveva fatto troppo presto, o forse troppo tardi. In effetti l’uomo non le aveva dato un orario preciso. Che idiota, forse le aveva semplicemente consigliato di passare dal bar e lei aveva frainteso.
Si ordinò un gin lemon, poi un altro: chissà in quale locale strafigo se n’erano andate quelle stronze delle sue amiche. Sul gruppo avevano mandato un selfie in cui erano già avantissimo con i festeggiamenti; lei invece se ne stava con un cocktail di merda in un bar di vecchi.
Svuotò il bicchiere, pagò il conto e se ne tornò verso casa.
Non c’era un’anima viva in giro, solo le barche nella baia sotto al cielo stellato. Si sarebbe fumata una sigaretta prima di tornare a casa. Valeria salì sulla barca alla fine del pontile e si mise in bocca la sua Malboro light.
Le veniva quasi da piangere per il nervosismo: quella vacanza sarebbe stata una tortura.
«Who’s there?»
Cazzo: qualcuno doveva aver visto il fumo della sigaretta. Si rimise a sedere istantaneamente e nel farlo la gonna che indossava le si arrotolò attorno alla vita, lasciandola in mutande.
Stefanos indossava ancora gli stessi abiti del pomeriggio e stava proprio sopra di lei con un’aria tutt’altro che distesa, sembrava addirittura incazzato. Valeria tentò di coprirsi e nel frattempo si mise a mormorare delle scuse.
Che poi cosa c’era da incazzarsi, si era solo stesa un attimo sulla barca per fumare una sigaretta, non c’era nemmeno niente da rubare.
L’uomo se ne restava lì impalato a guardarla, male. La stava facendo sentire terribilmente a disagio.
Lei si scusò per l’ennesima volta, recuperò la sua borsa e fece per alzarsi in piedi. Il pescatore, però, le mise le mani sulle spalle e la fece rimettere seduta.
«Fumare fa male signorina» disse Stefanos in un italiano un po’ stentato «poi lasci la cenere sulla mia barca e questo proprio non va bene.»
«Pulirò subito!»
Che imbarazzo! Stefanos fece cenno di no con la testa e salì anche lui sulla barca.
«Devi lavare, piccola troia…»
Il pescatore si andò a rannicchiare accanto a lei: emanava un forte odore di sudore, la sua pelle, i suoi capelli, i suoi abiti, ma non era fastidioso… Era eccitante.
Valeria quasi non riusciva a mettere in ordine i pensieri: l’uomo stava facendo correre le dita lungo le sue gambe, dalle caviglie alle ginocchia.
Ora non la guardava più male…
«Scusami se sono salita sulla tua barca.»
Per tutta risposta, Stefanos le affondò la faccia nel collo, iniziò a leccarglierlo, a mordicchiarlo, e nel farlo respirava forte, ansimava quasi.
Vale si sentiva un lago: l’odore dell’uomo era così penetrante, e sentirselo addosso, con il corpo contro il suo la stava facendo bagnare a dismisura.
Le dita di Stefanos ormai erano arrivate al suo perizoma. Se lo stava arrotolando fra l’indice e il medio, e lei riusciva chiaramente a percepire quanto i suoi umori lo stessero bagnando.
Senza incontrare alcuna resistenza, le due dita dell’uomo le scivolarono dentro. Di colpo, per intero. La testa le si reclinò all’indietro: per i successivi cinque minuti, l’uomo le frugò nella figa a suo piacimento. Le gambe le si muovevano per gli spasmi, e gemeva, gemeva un casino.
I suoi ex l’avevano toccata, più di una volta, ed era stato bello si, ma non come lo stava facendo Stefanos. Sentiva la fica gonfia, sul punto di scoppiare, come se non desiderasse altro che pisciare sulla mano dell’uomo.
«Bella porcellina italiana!»
Il pescatore iniziò a darle, con l’altra mano, degli schiaffetti sul clitoride: il rumore era quasi imbarazzante, tanto era bagnata.
Non ne poteva più, non poteva resistere ancora.
Quando la ragazza iniziò a contorcersi, Stefanos sfilò le dita e si andò a mettere con la faccia davanti alla sua fica. Prese tutto in bocca: Valeria non aveva mai squirtato prima di allora.
«Ora ho io una cosa per te, ti avevo detto che ti offrivo da bere.»
Le fece sventolare il cazzo davanti alla faccia: più di venti centimetri, già duro.
Dai, tutto sommato questa vacanza non sembra tanto male…
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