[Parte 3]
Erano passati diversi giorni da quando Maria lo aveva accolto nel suo appartamento e nel suo menage “particolare” con il misterioso Osvaldo.
Marco arrivava tutti i giorni in ufficio sperando di vedersela passare davanti, sculettante in uno dei suoi tailleur mozzafiato, ma niente.
Zero.
Quasi due settimane e della Angeloni in filiale nessuna traccia.
Gli stagisti continuavano a farsi il mazzo, alle prese con le angherie dei loro superiori, sbuffando e maledicendo il momento in cui avevano deciso di accettare il posto.
L’insofferenza verso i ritmi serrati e allucinanti di quegli ultimi giorni li accomunava tutti, e mal comune…
Marco e gli altri del gruppo avevano “fatto amicizia”, se così si può dire: ora si schifavano di meno gli uni con gli altri, e tutto sommato non erano poi così male i suoi compagni di sventura.
Erano arrivati a metà dello stage senza nemmeno presentarsi con alcuni.
E alcune.
Alina, ad esempio: più giovane di lui, timida, dal look quasi insignificante…
Ma una sera si erano organizzati per un aperitivo post lavoro di gruppo e lei si era presentata tutta in tiro, coda di cavallo, rossetto rosso e una maglietta nera attillata che le metteva in mostra le forme.
Hai capito Alina…!
E pensare che in ufficio sembrava una specie di suora laica.
Marco le stette addosso tutta la sera.
Chiacchierarono tanto: lei al secondo Negroni era diventata quasi logorroica, gli aveva raccontato tutto, della sua infanzia in Tunisia, del trasferimento a Milano, del suo amore per il nuoto e del sogno nel cassetto di aprirsi un bar nel suo Paese di origine.
Che cazzo stai a fa’ ‘sto stage maledetto allora, dolcezza?
Lui era bravissimo a simulare interesse davanti a qualsiasi interlocutore, e quella ragazzetta che parlava concitata non faceva eccezione. Dopo venti minuti di monologo quasi ininterrotto aveva smesso di ascoltarla, si limitava a ordinarle altri drink, ad annuire, ridere al momento giusto.
E nel frattempo se la immaginava in ginocchio davanti a lui, che la teneva per quella bella coda di capelli scuri e le governava testa e bocca a suo piacimento.
«Si è fatto tardi, domani abbiamo la riunione alle 8:30… Mi sa che ci conviene levare le tende, ragà.»
Qualcuno dei suoi colleghi dotati di buon senso interruppe la fantasia sul pompino fantastico che Alina stava facendo a Marco.
Per la prima volta dopo tanto tempo, di ritorno a casa, chiuso in bagno, Marco si ritrovò a fantasticare sulla sua collega, e non sul suo superiore.
Mentre si tirava la sua sega della buonanotte, immaginò di mettere la ragazza a pecora e di scoparla dentro il cesso del locale dove erano appena stati, appoggiati al lavandino, tutti storti e scomodi, con la faccia di lei contro lo specchio, stravolta dall’eccitazione e dal piacere, con la lingua da fuori e gli occhi all’indietro.
Due gran belle tette Alina, peccato non averle mai notate prima.
Dopo aver sborrato, Marco ripromise a sé stesso che avrebbe trasformato presto quella fantasia in realtà.
Domani quasi quasi la invito ad uscire.
Al risveglio si sarebbe masturbato volentieri di nuovo, ma l’orologio non era d’accordo.
Riuscì miracolosamente a non arrivare in ritardo in ufficio, si fiondò in sala riunioni e prese posto dietro al suo pc.
«Questo posto è libero?»
Alina gli si sedette accanto: non era vestita come la sera prima, ma la trovò comunque interessante, seppure nei suoi abiti da lavoro un po’ informi…
Forse perché la sera prima, nella sua fantasia, le era venuto copiosamente in bocca.
Approfittarono del ritardo dei capi per chiacchierare un po’, e lui scoprì che la collega era loquace anche senza tutti quei Negroni in corpo.
Solo dopo mezz’ora, le alte sfere cominciarono ad arrivare e, sorpresa, si palesò di nuovo anche Maria Angeloni.
Sempre vistosa, sempre con l’espressione da porca.
A Marco venne duro istantaneamente: non potette fare a meno di ripensare all’ultima volta che l’aveva vista, e alle cose che avevano fatto.
La donna fu bravissima a non intercettare mai il suo sguardo, e lui non riusciva a toglierglielo di dosso, al punto da dimenticarsi completamente di Alina seduta lì accanto.
«Attento che fra poco ti cola la bava.»
Che figura di merda.
Imbarazzato, Marco distolse lo sguardo dalla capa e si lasciò scappare una mezza risatina isterica.
Anche Alina rise, per fortuna.
La riunione di quel giorno era stata indetta per analizzare i risultati del primo semestre dell’intero gruppo di stagisti: da qualche settimana si vociferava che, in quell’occasione, avrebbero mandato qualcuno a casa.
E andò proprio così: alla fine della riunione, il gruppo si era più che dimezzato.
Ma non Marco e Alina, che grazie alla loro tenacia, al loro rendimento e a qualche buona botta di culo, erano ancora a bordo.
«Ci tocca rimanere in questa gabbia di matti.»
Alina rise di nuovo.
Alla fine bastava toglierle quel maglione da nonna di dosso e stenderla a cosce aperte sul tappeto del soggiorno.
«Ti va di venire a festeggiare con me più tardi?»
Fuori dalla sala riunioni, prima di tornare a lavoro, l’occasione che gli si era presentata era perfetta.
Alina sorrise e rispose di sì: rimasero d’accordo che sarebbe passato a prenderla alle 21:00.
Oh si, te lo do io il festeggiamento, tutti e venti i centimetri!
Impaziente di godersi quella che si prospettava come una gran bella serata di porcherie, Marco se ne andò dritto in ufficio per smazzare un po’ di lavoro prima della pausa pranzo.
«Ehi tu, nel mio ufficio.»
Aveva riconosciuto istantaneamente la voce di Maria.
L’aveva intercettato lungo il corridoio: si fece seguire su per le scale, fino al suo piano, fino alla sua stanza.
Lungo il tragitto, dietro quel culo fantastico e la scia del suo profumo, il cazzo di Marco tornò duro.
«Allora, contento di essere ancora parte del team, merdina?»
Lui annuì e chiuse la porta alle sue spalle.
«Puoi parlare cane, non ti farò abbaiare stavolta.»
Magnanima la puttana.
«Ma dovrai essere un bravo cane e fare tutto quello che ti dirò di fare.»
«Va bene…»
«Credo tu debba esprimerti meglio, se non vuoi di nuovo che ti metta il mio plug in culo.»
Marco sentì un brivido precorrergli la schiena, al solo pensiero del freddo del metallo che si faceva largo dentro di lui, come l’ultima volta in cui Maria lo aveva sodomizzato davanti al suo padrone.
Cazzo sempre più duro.
«Va bene, padrona.»
Maria si voltò e prese la borsa dietro la scrivania: che culo che aveva con quella gonna blu addosso, quella mattina.
«Ho una cosa per te, cane. Ne ho parlato con Osvaldo, e anche lui era d’accordo con me.»
Un regalo? Per me? Ma cosa cazzo c’entra Osvaldo?
«Sai, abbiamo deciso che ci andrebbe di giocare di nuovo con te, una di queste sere. Gli sono venute delle idee interessanti su cosa farti fare… Ed è per questo motivo che abbiamo pensato di procurarti… Un accessorio.»
Gli porse una scatola.
Non poteva credere ai suoi occhi.
«E ti aspetti che io la metta?»
Gli arrivò uno schiaffo dritto in faccia, e il cazzo gli divenne ancora più duro.
«Come osi usare questo tono con la tua padrona, cane? Tu la indosserai eccome.»
Il suo regalo era una gabbia per il pene: le aveva viste su un sexy shop online, ma non pensava mai che ne avrebbe indossata una.
Sapeva che ce n’erano di vari materiali, anche di metallo. Per fortuna la sua, per quanto possibile, sembrava di lattice e quindi, forse, non troppo scomoda.
«Ma per quanto dovrò tenerla? Così non potrò nemmeno masturbarmi… O scopare.»
«Avevi intenzione di scopare con qualcuno stasera, per caso?»
Lui ovviamente restò in silenzio.
«Ho notato che prima, in sala riunioni, eri seduto accanto a quella ragazzetta… Ti piacciono le giovani mulatte con le tette grosse?»
Marco probabilmente arrossì, la Angeloni lo guardò in faccia e si mise a ridere.
«Lo sapevo… Porco, non mi vedi per un paio di settimane e mi sostituisci così?»
La donna gli poggiò una mano sulla patta dei pantaloni e con un paio di movimenti sicuri, liberò il cazzo dalla cerniera.
«Bravo cane, sei sempre duro… Ma ora ti toccherà sborrare, altrimenti la gabbia non ti entra.»
Glielo prese in mano e iniziò a far correre le dita lungo tutta l’asta, piano e fino in fondo.
«Non ho troppo tempo da dedicarti, perciò sbrigati a venire… Puoi infilarmi una mano fra le tette e immaginare la tua piccola collega puttanella che te lo lecca.»
Gli ci vollero giusto due minuti per arrivare all’orgasmo, con le dita strette su uno dei seni rifatti della Angeloni e l’immagine della bocca di Alina spalancata davanti alla sua cappella.
«Ora pulisciti e poi mettiti la gabbia per il cazzo, facciamo una foto e la mandiamo ad Osvaldo.»
Fu stranissimo, e temeva che si potesse vedere, nonostante i boxer e i pantaloni.
«Ti ci mando con il cazzo ingabbiato da quella troietta, stasera…»
[Presto la parte 5...]