[Parte 4]
Prima di farlo rivestire, la Angeloni andò a recuperare il suo cellulare dalla borsetta.
Ci andò sculettando, con la sua andatura provocante da puttana.
«Fammelo vedere bene quel cazzo ingabbiato.»
Fece una, due, tre fotografie.
«E queste ora vanno dritte dritte a Osvaldo… Gli piacerà di sicuro vederti così.»
Col cazzo intrappolato in un fottuto strumento di tortura.
Dopo aver sborrato gli si era ridimensionato, e ora se lo guardava chiuso in mezzo a quei cerchietti di silicone.
Mai avrebbe pensato di ritrovarsi con uno di quei cosi addosso, mai nella vita.
«Cominci a familiarizzarci, cane? Fai bene, perché da oggi questo sarà un tuo fedele compagno di giochi.»
Maria Angeloni rise, si sistemò i vestiti, recuperò la borsetta e alcuni documenti e raggiunse la porta dell’ufficio.
«Dai, ora rivestiti e torna al tuo lavoro.»
Senza fiatare, Marco si sistemò meglio che poteva, sperando che il suo accessorio non venisse notato da nessuno.
Lei fece uscire lui per primo, ci mancava poco gli desse un calcio in culo.
Ed eccolo lì, a camminare strisciando contro i muri, vergognandosi come un ladro del suo ingombrante segreto.
Sarebbe stato di certo scomodo pisciare, e impossibile tirarsi una sega.
Figuriamoci scopare.
Che puttana!
La Angeloni se l’era studiata bene quella mossa, evidentemente, in combutta col suo amante… Che adesso aveva anche le foto del suo cazzo sul cellulare.
Eppure, nonostante l’evidente imbarazzo, la scomodità e il disagio in cui si trovava, Marco si sarebbe continuato a far fare qualsiasi cosa da quella donna.
Sentiva ancora i suoi seni sotto le mani, il suo odore… Se chiudeva gli occhi, riusciva a vedere i suoi fianchi ondeggiare a quel ritmo così sexy e solo suo.
Non avrebbe pensato ad altro per il resto della giornata, se non fosse stato per quell’affare nelle mutande.
Rimase fermo alla scrivania per tutto il pomeriggio: se qualcuno se ne fosse accorto, di quella roba, che figura di merda.
Ma il peggio doveva ancora arrivare, e non ci mise molto.
«Ehi! Io sto andando via. Confermato per stasera?»
Alina!
Gli era scivolata completamente via dalla testa, lei e l’appuntamento che le aveva dato per quella sera.
«Certo. 21:30, confermato.»
La sua collega gli lanciò un’occhiatina maliziosa prima di andar via, fra il felice e l’eccitato, e un sorriso che lasciava presagire una serata interessante in sua compagnia.
Peccato per la maledetta gabbia.
Bestemmiando per quella situazione letteralmente del cazzo, Marco spense il pc e si preparò ad andar via anche lui.
Non fece in tempo a mettere un piede in strada che il suo telefono iniziò a squillare.
Era una telefonata da uno dei loro numeri interni aziendali.
Dall’altra parte c’era lei.
«Stai andando via, cane?»
«Si…»
«Rispondi come si deve, nullità che non sei altro.»
Maria fece in modo che il suo disprezzo, con quella frase, gli arrivasse forte e chiaro come uno schiaffo.
«Si, sto andando via, padrona…»
«Non mi hai chiesto il permesso.»
Rimase in silenzio.
«Allora stasera esci con la tua collega troietta?»
Quella donna era una strega, ormai non aveva più dubbi.
Marco continuava a tacere, in attesa del prossimo affondo della sua dominatrice.
Forse in quel momento lo stava addirittura osservando dall’alto, dietro una delle finestre di vetro del palazzone che ospitava i loro uffici.
Si sentì minuscolo, completamente in balia di lei e della sua mente diabolica.
E la cosa lo fece eccitare, inaspettatamente.
«Tu vuoi distruggermi...»
Maria dall’altra parte del telefono rise di gusto, di quella risata sprezzante da gran troia qual’ era.
«Con la mia gabbia sul cazzo, al massimo te la potrai guardare, la puttanella.»
Il suo cazzo ebbe un sussulto.
«Già ti ci vedo, fissarle quelle belle tettone, desiderare infilarci il cazzo in mezzo e non poterlo fare... Chissà cosa direbbe la tua cara collega se sapesse che sei un miserabile cane.»
Marco iniziò a camminare nervosamente lungo il marciapiede: il cazzo cominciava a diventargli duro, per colpa delle parole di Maria e dell’immaginario che avevano acceso.
Ma c’era la gabbia che si faceva sentire ogni secondo di più…
«Ti vedo nervoso, nullità. Ti fa un po’ male il cazzo, per caso?»
Lo sapevo! Mi stai guardando troia!
Si eccitò ancora di più, e la stretta della gabbia diventava sempre più prepotente.
«Osvaldo ha detto che ti sta bene, comunque. Ha deciso che, eventualmente, più tardi potrebbe venirci voglia di chiamarti… O hai altri impegni?»
A Marco riuscì solo di sbiascicare un no confuso.
«Ho comunque ancora il sospetto che stasera vedrai la troietta...»
«Come hai detto tu, se anche fosse, non potrei farci niente… Padrona.»
«Almeno hai imparato a rispondere, cane. Potrei addirittura decidere di premiarti, eventualmente, più tardi…»
Di nuovo, un sussulto al cazzo.
«Escici con la tua puttanella: godrò un sacco a interrompere la vostra serata.»
Mise giù lasciandolo da solo col cazzo ingabbiato che stava per esplodergli nei pantaloni.
Quella sensazione di impotenza non lo abbandonò per tutto il tragitto fino a casa, nonostante il cazzo fosse tornato normale dentro la prigione di silicone.
Si buttò sotto la doccia, deciso a lavarla via.
Non ci riuscì.
Avrebbe voluto masturbarsi, rilassarsi, e non poterlo fare lo stendeva.
Si preparò per la serata con Alina, non sapendo cosa augurarsi: chissà quando lo avrebbero chiamato, la Angeloni e il suo amante.
Chissà se gli avrebbero chiesto di raggiungerlo, e dove.
Arrivò all’appuntamento con Alina fissando il cellulare, e non smise di farlo per tutta la mezz’ora successiva.
Fino a quando la ragazza glielo fece notare.
«Stai aspettando una telefonata della tua fidanzata?»
Marco si sentì avvampare.
Guardò Alina e i suoi occhi da cerbiatta che lo fulminavano, e si sentì mostruosamente in colpa per averla trascurata.
Solo in quel momento la osservò davvero bene: si era fatta la treccia, e strizzata in un tubino nero che in un’altra serata non avrebbe potuto non notare.
Ma non quella sera: il telefono restava muto, di Maria e Osvaldo nessuna traccia.
Fanculo.
Erano le 22:30 ormai, probabilmente erano già insieme, e lui se la stava scopando, in modi che a lui erano più che mai preclusi.
Fanculo di nuovo.
Ormai era lì, con Alina tutta per lui.
Non avrebbe potuto farci sesso, ok, ma c’erano un’infinità di cose da fare per trascorrere una bella serata.
In primis chiacchierare.
Alina era simpatica, sveglia, deliziosamente logorroica.
Un’ottima compagna di bevute: finirono presto la loro bottiglia di vino e quando ordinarono la seconda, lei era ancora lucidissima e sul pezzo.
Battute, allusioni, ammiccamenti, sguardi provocanti con quegli occhioni neri e quelle ciglia lunghissime.
Marco fece una battuta del cazzo su un tipo strano seduto davanti a loro e lei quasi si strozzò per le risate.
Delle gocce di vino le finirono proprio nella scollatura, giù dritte lungo l’incavo di quei seni grossi e invitanti.
Il desiderio con cui glieli fissò la fece ritrarre impercettibilmente, ma in modo scherzoso e fintamente scandalizzato.
«Smettila di fissarmi le tette, villano.»
E scoppiò a ridere.
Era bellissima Alina: l’avrebbe baciata appassionatamente, l’avrebbe stretta a sé infilandole la lingua fino in gola… Ma aveva paura che il cazzo gli diventasse troppo duro.
Marco bevve un lungo sorso di vino e cercò di tornare calmo, di non pensare a quanto sarebbe stato bello vederla godere e gemere, oltre che ridere.
Gli tornò in mente la Angeloni e quella chiamata che non voleva proprio arrivare
Chissà se si erano visti davvero quei due o se la donna lo aveva solo voluto illudere.
Puttana…
Finirono di bere anche la seconda bottiglia.
Alina gli si era avvicinata con la sedia, per continuare a fare commenti e battutine sul tipo del tavolo di fronte: ora le loro cosce erano attaccate, ne poteva sentire chiaramente il calore e la consistenza.
Un sussulto al cazzo e la gabbia che ribadiva la sua presenza, puntuale e inesorabile.
La cosa lo fece irrigidire, fece spegnere la magia del momento e all’improvviso il loro dirimpettaio smise di essere un argomento divertente per Marco.
«Che ne dici, chiedo il conto? Ho voglia di fare due passi.»
Alina annuì e prese le sue cose.
Passeggiarono chiacchierando per un po’.
«Io sono arrivata, abito proprio qui.»
«Non sapevo mi stessi portando a casa.»
Di nuovo gli occhioni della sua collega gli si infilarono dentro con quell’energia seducente e particolare che emanavano.
Ah, se solo avesse potuto dare sfogo ai suoi desideri in maniera libera, senza sentirsi costretto dal giogo della Angeloni.
Un controllo fisico e mentale.
Anche lì, sotto casa di quella ragazza così bella e provocante che non aspettava altro che lui le chiedesse di salire…
Era palese.
«Mi sa che scappo a prendere la metro, domani mattina ho un appuntamento molto presto.»
La delusione sul volto di Alina fu altrettanto palese.
Si affrettò a dirle che si era divertito tantissimo e che avrebbero di certo ripetuto la serata, ma la ragazza aveva chiaramente accusato il colpo.
Si salutarono con un mezzo abbraccio e lei sparì dietro il portone di casa.
Lasciare andare una così gli sembrava veramente fuori dal mondo, sprecare un’occasione del genere completamente assurdo.
Ma meglio provare a conservarsi una chance per una prossima serata che rischiare di farsi esplodere il cazzo o, peggio, che lei gli trovasse la gabbia addosso.
Marco nel suo letto, quella notte non chiuse occhio.
Alle 5:00, quando cominciava quasi ad albeggiare, il telefono illuminò la stanza ancora buia.
Un messaggio, di Maria Angeloni.
Ti ha fatto soffrire aspettare una convocazione, cane?
Avrebbe risposto, ma vide che lei stava continuando a scrivere.
Chissà se alla fine ci sei uscito con la tua collega puttanella… Ad ogni modo, sono convinta di averti rovinato la serata, mia insignificante nullità.
Marco gettò lontano il telefono.
Hai fatto centro, puttana!
Sarebbe stata un’altra giornata del cazzo.
[Parte 6]